Nel Museo di Arte Sacra della Arcidiocesi di Lecce è conservato un pregevole dipinto della Vergine del Carmine che risale agli anni ’80 del 1400.
Il Dipinto è stato recentemente oggetto di un delicato restauro ed ora è tornato alla pubblica fruizione degli utenti del Museo in tutta la sua dolce bellezza
Nella scheda descrittiva del bene è scritto:
«Nell’altare maggiore v’è l’immagine di Santa Maria del Carmine in tavola, venuta da Venetia fin da’ principj, che i detti Padri [Carmelitani] vennero a questa Città, dipinta di bellissima, e devotissima mano; della quale avendo voluto diversi valenti Dipintori prender copia, non hanno possuto in conto alcuno ritrarla al vivo, ancorché vi avessero posto grande studio, e diligenza». Così Giulio Cesare Infantino registrava nella sua Lecce Sacra il dipinto, riconoscendone il valore nell’impossibilità di qualsivoglia imitazione, verosimile omaggio al prestigio ancora vivo nell’ambiente leccese della cultura veneta, accompagnatosi, come è noto, al dominio politico e commerciale di Venezia in Terra d’Otranto e in Puglia.
La testimonianza di Infantino probabilmente registrava anche la fortuna che quel tema iconografico aveva avuto nelle successive raffigurazioni della Madonna del Carmine, nelle quali compare costantemente quella formulazione iconografica. Il tema, come si sa, è proprio della tradizione bizantina, il tipo è quello della Vergine Eleusa o Glikophilousa, noto anche come Vergine della tenerezza, nel quale esso aveva già una caratterizzazione in chiave sentimentale, rappresentando il rapporto affettivo Madre-Figlio, anche se non ridotto alla sua dimensione prettamente umana.
In questo senso è stato già rilevato che la tenerezza non è quella della Madre, che, immersa nella sua tristezza, sembra non accorgersi delle carezze del Figlio e neppure guardarlo, ma quella del secondo che accosta la sua alla guancia della madre e le accarezza il mento con la destra mentre con la sinistra le si attacca al collo, una gestualità questa che sembrerebbe assumere significato consolatorio, dando nello stesso tempo alla tristezza della Madre quello di presagio della Passione.
Tutto questo assume ben diverso carattere nella versione leccese, perché l’evidente occidentalizzazione stilistica ha significato dare maggiore senso di verità a quel sentimento affettivo, più evidente è la sua umanizzazione, avendo le figure acquistato maggiore concretezza, le carni e le vesti hanno guadagnato evidenza fisica, le espressioni dei volti e i gesti sono diventati più manifesti. Sulla base dell’indicazione di Infantino l’arrivo della tavola coinciderebbe con la fondazione della prima chiesa, che dovrebbe risalire, stando a quanto proposto dagli storici, ai primi anni ’80 del ‘400, una datazione che non è in contrasto con lo stile del dipinto.
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